mercoledì 30 luglio 2008

Le rinnovabili e il paradosso della pianificazione

L'Aper - l'Associazione produttori energia da fonti rinnovabili - è scatenata contro la regione Liguria per le restrizioni, presunte o reali, poste dalla Regione alla realizzazione di impianti eolici. Se ne occupano oggi sul Secolo XIX Graziano Cetara e Alessandra Costante (non trovo online l'articolo, qui è disponibile la delibera con annessi e connessi), i quali danno conto delle diverse posizioni. Spiegano:
E' la delibera con cui la giunta ha modificato, ma solo per quanto riguarda
l'eolico, il Pearl (Piano energetico ambientale della regione) ad aver fatto
infuriare tutti. Nel 2002 la Liguria aveva individuato aree idonee e aree non
idonee alla collocazione delle pale eoliche, eliminando quasi completamente la
possibilità di impiantare i parchi sui crinali, aree di attraversamento per gli
uccelli rapaci e migratori. Con la variante approvata lo scorso mese e per la
quale si attendono osservazioni entro il 31 luglio, vengono indicati altri siti
in cui sarà possibile innalzare le torri dei mulini a vento: 18 dislocati sul
territorio, spesso confinante, di 32 comuni. "Un inaccettabile contingentamento
- osserva Marco Pigni [direttore di Aper] - La Regione dovrebbe indicare dove
non è possibile erigere le pale e poi lasciare liberi gli imprenditori e le
amministrazioni comunali".
Mi sembra che, nella sostanza, abbia ragione Pigni (il quale lamenta anche ulteriori complicazioni burocratiche). Il passo falso della regione nasconde un problema più generale, ricontrabile pressoché a tutti i livelli nel dibattito sulla politica energetica - per dire, la stessa critica la si può rivolgere al modo in cui sembra il governo stia impostanto il ritorno nel nucleare. Il passaggio dallo Stato imprenditore allo Stato regolatore - attuato, con tutte le sue contraddizioni ed errori, durante la grande stagione delle privatizzazioni e liberalizzazioni - significa anche riconoscere al mercato una superiore capacità di allocare gli investimenti in modo efficiente. Quando lo Stato ritiene sussistano dei superiori motivi di interesse pubblico, esso incentiva o promuove gli investimenti (sarebbe meglio non lo facesse, vabbé), ma comunque non ha senso che si sostituisca alle imprese nella loro localizzazione, o ai comuni nel micromanagement dei processi autorizzativi. Nessun burocrate pubblico sa, dati i prezzi correnti dell'elettricità e il monte dei sussidi o altre agevolazioni, quanto eolico (o solare o altra cosa) sia opportuno realizzare in Liguria. Ed è surreale che la regione e l'Università di Genova pretendano di censire addirittura la remuneratività degli investimenti; questo è precisamente il compito del mercato. Quindi, una volta nella vita, i produttori di energia rinnovabile hanno ragione da vendere, e ha ragione da vendere chi si oppone a una delibera dirigista nel senso più deteriore del termine.

martedì 29 luglio 2008

Trasporto pubblico locale, no alla tassa di scopo

Robin Hood fa scuola. Ai cittadini angustiati dal caro gasolio, l'azienda dei trasporti pubblici genovesi Amt non trova meglio che chiedere il pagamento di una tassa di scopo a sostegno del trasporto di massa. In questa maniera, la totalità dei contribuenti sarebbe chiamata a sussidiare il trasporto pubblico e quella porzione di cittadini che ne fa uso. Come se l'Italia non avesse già una pressione fiscale troppo alta. Tra l'altro, non solo non vi sono i presupposti generali per una nuova imposta - in periodi di crisi, insegnano gli economisti, occorrono provvedimenti di segno esattamente opposto - ma se il trasporto pubblico si trova davvero di fronte a un problema di sostenibilità finanziaria, prima di chiedere ulteriori sacrifici ai cittadini sarebbe utile fare una attenta analisi dei propri bilanci. Infatti, vi è ampia evidenza (per esempio qui e qui) che l'efficienza del trasporto pubblico locale, in Italia, è bassissima sia rispetto ad altri settori industriali, sia rispetto allo stesso settore in altri paesi. In media, si stima che con mere misure di efficienza si potrebbero ridurre i costi del 30 per cento. Non credo proprio che Genova e provincia facciano eccezione. Quindi, anziché mendicare soldi pubblici, sarebbe meglio che il Tpl accettasse di tirare la cinghia.

lunedì 28 luglio 2008

Perché bisogna privatizzare Fincantieri

La discussione sulla privatizzazione - o, meglio, sul collocamento in borsa di una quota di minoranza - di Fincantieri ha tenuto banco nelle ultime sedute del consiglio comunale di Sestri Levante. La maggioranza ha votato una mozione di alcuni consiglieri di minoranza, che chiede di mantenere lo status pubblico dell'azienda; contrari i rappresentanti del centrodestra, allineati col governo, che su questo dossier ha stranamente posizioni liberali. Ho scritto brevemente sul tema sul Corriere della Fontanabuona e del Levante, ma tutto quello che serve sapere lo ha detto meglio e più diffusamente Jacopo Perego in un Focus dell'Istituto Bruno Leoni. Il punto essenziale, mi pare, non è tanto chiedersi se sia giusto o no privatizzare, quanto piuttosto interrogarsi se esistano delle ragioni per non farlo, e quali siano. L'assoggettamento alla disciplina della borsa, infatti, quanto meno garantisce una gestione più efficiente dell'azienda. Che può anche voler dire - non è possibile escluderlo, nel lungo termine - un ridimensionamento dell'organico. E' vero che questa è una scelta molto difficile, ma è ugualmente vero che mantenere un organico eccessivo è un danno per i contribuenti, per la competitività dell'impresa, e in ultima analisi anche per gli occupati, che vengono inutilmente tenuti laddove sono meno produttivi e si troveranno in difficoltà ancora maggiori quando arriverà il redde rationem - arriverà. Detto questo, non mi pare che al momento vi sia in vista alcun intervento del genere, quanto piuttosto un'esigenza di rendere più efficiente il funzionamento del cantiere, e consentire un afflusso di liquidità indispensabile per i necessari investimenti. Se non si accetta questa logica, il futuro sarà ancora più nero. Che sia privato oppure pubblico.

Statement of Principles

Si parte. Questo blog vuole esprimere opinioni. Pensiamo che nel Tigullio il dibattito politico fatichi, troppo spesso, a uscire da orizzonti concettuali angusti; che non ci sia, cioè, differenza tra ragionamento politico e chiacchiericcio di partito. Noi tutti soffriamo per l'assenza di una discussione che sia sghemba rispetto alla politica: che guardi alle cose senza farsi condizionare dalle appartenenze, e che sappia collocare i problemi, anche quelli apparentemente più minuscoli, in una prospettiva ampia. Non abbiamo paura di usare una parola che è stata troppo spesso demonizzata: vogliamo offrire un punto di vista ideologico. Ciò non significa, naturalmente, slegato dalla realtà, ma il contrario. Significa che - come diceva il premio nobel per l'Economia Friedrich Hayek - senza una teoria che li supporti, i fatti sono muti.

La nostra ambizione è quella di far parlare i fatti. La nostra convinzione è che il liberismo - cioè il primato del mercato sullo Stato - possa dire molto, sia a livello generale, sia a livello locale. Il liberismo può essere declinato tanto nelle politiche nazionali, quanto in quelle che riguardano più da vicino i cittadini. Questo è tanto più rilevante se è vero, come promettono virtualmente tutti i partiti politici, che il nostro paese introdurrà nel suo ordinamento elementi di federalismo, cioè amplierà la libertà di scelta e lo spazio di azione di comuni, province e regioni.

Non sappiamo ancora se faremo tutto questo a beneficio di noi stessi - per sfogarci scrivendo - o se riusciremo a conquistare un po' di attenzione pubblica. Speriamo che sia così, ma se anche le nostre idee fossero destinate solo a una minoranza, vogliamo credere, con Novalis, che le teorie sono reti: solo chi le butta pesca. Vogliamo cioè scommettere che trasformeremo opinioni personali in opinione pubblica. Comune buonsenso in senso comune.

Silvio Boccalatte, Luigi Ceffalo, Mario Fava, Remo Fava, Christian Passalacqua, Jacopo Perego, Paolo Smeraldi, Carlo Stagnaro