sabato 27 settembre 2008

Vorremmo essere tutti imperiesi

Un applauso ai consiglieri comunali di Imperia. Nel ridefinire i criteri relativi al rilascio di licenze per l'avvio di esercizi pubblici di somministrazione di alimenti e bevande (che, in italiano, sarebbero bar e ristoranti et similia), hanno compiuto la scelta più semplice e più di mercato: nessun vincolo. Resta qualche vincolo solo nel centro storico, dove se non altro c'è qualche parvenza di giustificazione (anche se, a ben guardare, pure lì si potrebbe liberalizzare senza troppe preoccupazioni). Si tratta di un gigantesco passo avanti, perché - sebbene il settore del commercio sia stato già di fatto liberalizzato da anni - resistono normative locali che, nella pratica, hanno l'effetto di proteggere lo status quo. Imperia ha fatto una scelta coraggiosa, efficiente e giusta.

Ancora Lussana, ancora su Fincantieri

E sempre ottimo. Comincia qui e continua qui.

venerdì 26 settembre 2008

Esistono!

Lancio appelli quindi sono.

giovedì 25 settembre 2008

Lussana su Fincantieri

Massimilano scrive cose sacrosante qui. Del tema si era occupato anche Jacopo.

mercoledì 24 settembre 2008

All'asta Marassi

Il comune di Genova ha avviato le procedure per un'asta internazionale, mettendo in vendita lo stadio di Marassi. Per il Secolo XIX, che non riesce a fare una cronaca imparziale, in questo modo Marta Vincenzi sta vendendo "un pezzo di storia del calcio italiano". E allora? Per il bene del calcio e per la sicurezza dei tifosi, gli stadi dovrebbero essere ben gestiti. Chi sia il proprietario, è del tutto secondario. La privatizzazione, in quest'ottica, ha perfettamente senso, perché chiunque rilevi lo stadio non vorrà, ovviamente, farlo fallire, lasciarlo nell'incuria, far fuggire gli spettatori paganti, o portarselo via. Vorrà trarne il massimo profitto, e a tal fine dovrà affrontare tutti gli investimenti necessari a rendere la struttura agevole e ben tenuta. Soprattutto, il finanziamento di interventi sullo stadio non entrerà più in competizione col rifacimento della pavimentazione del cimitero o l'acquisto di brodo caldo per gli anziani indigenti, o qualunque altra diavoleria sia oggetto delle cure del comune. C'è anche un altro aspetto, molto importante di questi tempi: se vuole attirare il pubblico, il proprietario futuro dello stadio dovrà massimizzare la sicurezza, facendo quanto possibile per allontanare i facinorosi e creando le condizioni per neutralizzarli quando iniziano a far casino. Lo spiega bene, pur essendo milanista, Massimiliano Trovato in questo Focus: "le esperienze inglese e americana - scrive Massimiliano - indicano che la figura chiave di tale scenario di sicurezza privata sarebbe lo steward, un ibrido tra la maschera d'un teatro e il buttafuori d'una discoteca, in grado di accompagnare lo spettatore al suo posto ma anche di prenderlo per un orecchio se non vi rimanesse educatamente seduto. E sarebbero rimesse all'interessata valutazione del proprietario, anziché all'arbitrio di un legislatore, la necessaria dotazione di misure di sicurezza, dalle videocamere ai tornelli, e l'individuazione delle politiche confacenti, ad esempio in tema di posti numerati". La privatizzazione di Marassi apre una marea di opportunità per rendere la vittoria domenicale del Genoa, o la sistematica sconfitta della Sampdoria, (*) un evento ancor più meritevole di essere goduto dal vivo. Su questo blog abbiamo in passato criticato il sindaco Vincenzi, e lo faremo in futuro. Ma questa mossa - se andrà in porto come deve, cioè senza indebite interferenze del comune durante l'asta (stile Alitalia) e senza successivi condizionamenti nella gestione dello stadio - merita tutto il nostro più caloroso applauso.

(*) Ok, non necessariamente uno stadio privato ed efficiente può garantire il raggiungimento di proprio tutti gli obiettivi desiderati. Ma in questa vita ci serve, un po' di utopia.

Democristiani si nasce

Alessandro Repetto è un'ottima persona e anche, tutto sommato, un buon amministratore. Nell'intervista al Menabò si toglie qualche sasso dalle scarpe (la critica a Marta Vincenzi sulla gestione dell'Expò Fontanabuona) e tenta qualche spericolata difesa d'ufficio (sulla Fondazione Mediaterraneo), e dice pure alcune cose interessanti. Poi è un fan di Bob Dylan e questo ci unisce più di tutto quel che ci divide. Però sul depuratore della Fontanabuona dà una risposta che neanche Aldo Moro (pace all'anima sua): "se c'è la disponibilità dei sindaci, resta solo da cercare i soldi". Che è come dire: io vorrei passare qualche giornata di relax al Burj Al Arab; se ci sono stanze libere, devo solo trovare i 750 euro a notte per la camera base...

martedì 23 settembre 2008

Sanità. Chi controlla i controllori?

Alla domanda su cui i filosofi politici si scornano da un certo po' di tempo - chi controlla i controllori? - la Regione Liguria risponde coralmente: il supercontrollore! La soluzione individuata dall'assessore alla Sanità, Claudio Montaldo, per debellare le liste d'attesa infinite negli ospedali è appunto quella di spedire nelle varie Asl dei nuovi dirigenti col compito di migliorare il servizio. Magari andrà anche bene, non lo nego, ma mi pare che questa manovra tradisca una profonda incomprensione delle cause del problema, e quindi delle sue soluzioni. La prima cosa che si può dire, in presenza di code, è che il prezzo del servizio in questione è troppo basso. Ciò non significa necessariamente che il prezzo vada alzato, ma che le modalità di erogazione vanno profondamente riviste. Per esempio, passando da una copertura universale garantita (si fa per dire) attraverso le tasse, a un sistema basato sulle assicurazioni obbligatorie (stile Rc Auto), per creare anche un interesse eguale e opposto a far funzionare la macchina (come spiega bene Pierre Lemieux). Il secondo aspetto riguarda l'altra grande forza che spinge verso l'efficienza: la concorrenza. Il sistema sanitario nazionale si basa su enti pubblici, i quali non hanno alcun interesse a competere sulla qualità o sui prezzi, e quindi tende ad adagiarsi. Se si mettono queste due cose assieme - separare chi paga da chi eroga il servizio, e creare condizioni di effettiva parità tra servizio pubblico e strutture private - si arriva alla creazione di uno spazio di mercato. Se non si comprende questo fatto, e non ci si comporta di conseguenza, la strada di Montaldo è effettivamente l'unica possibile: inviare periodicamente qualcuno che dia una scossa al sistema, prima di adeguarsi egli stesso. A quel punto, Montaldo spedirà i megasupercontrollori che dovranno controllare i supercontrollori che controllano i controllori, e così via all'infinito.

lunedì 22 settembre 2008

Mi dispiace

Sono profondamente dispiaciuto di non dover fare, oggi, particolari commissioni. Temo passerò la giornata nel mio ufficio, che poi sta in casa mia, a lavorare sull'ordinaria amministrazione. Mi dispiace perché oggi è la Giornata europea senz'auto, e Legambiente ha suggerito un impegno collettivo all'uso della bicicletta. Ecco, ne avrei approfittato per spostarmi a marcia bassa e giri alti, in modo da compensare con le mie emissioni quelle mancate degli ecologisti per un giorno (che, naturalmente, dentro di sè capiscono che l'auto è una delle cose più belle dell'universo e non vi rinuncerebbero per nulla al mondo, se non come sacrificio occasionale per fare un gesto chic a poco prezzo).

sabato 20 settembre 2008

L'orecchio pubblico mettetevelo nel XXXX

Il trade off tra libertà e sicurezza, tra privacy e sorveglianza è sempre di difficile soluzione. C'è poco da dire: ci vuole, semplicemente, grande pragmatismo. Per quanto le telecamere nelle strade siano odiose, svolgono un ruolo importante e, soprattutto, sembrano essere socialmente accettate o addirittura desiderate. Bon. Però c'è un limite che non dovrebbe essere superato mai. Quando si affrontano le questioni in modo pratico, bisognerebbe sempre tracciare una linea invalicabile, oltre la quale l'arte di arrangiarsi diventa arte di danneggiare il prossimo. Quel limite, a Chiavari, è stato ampiamente superato. A quanto pare, il capillare sistema di videosorveglianza cittadino è in grado di captare suoni e discussioni attorno alle telecamere. Questo significa che non solo dove siete e cosa fate, ma anche quel che dite sarà a disposizione dei sorveglianti e resterà, per un certo periodo, nella memoria del sistema. Questo è, semplicemente, inaccettabile. Dei cittadini che vivano con orgoglio la loro libertà e la loro privacy dovrebbero, semplicemente, ribellarsi. Non ne faccio una questione leguleia. Non me ne frega niente del richiamo del garante della privacy, Franco Pizzetti, e non penso che la cosa la si potrebbe risolvere dandone piena e chiara comunicazione nella cartellonistica stradale. Non esiste ragione di sicurezza al mondo che possa giustificare l'intercettazione ambientale di milioni di conversazioni all'anno, tra persone oneste e innocenti (fino a prova contraria, e la prova non può e non deve essere ottenuta illegalmente o al di fuori degli standard minimi di civiltà). La tolleranza degli italiani nei confronti dell'invadenza impicciona pubblica è molto ampia. Ma chi abbia almeno un po' di amor proprio, di essere guardato e ascoltato e pubblicamente denudato non può sopportarlo. Perfino nei tempi antichi e presunti incivili (che incivili non erano, ma questo è un altro discorso) la gogna era una punizione. Non la norma.

venerdì 19 settembre 2008

Nessun pasto è gratis

Continua il braccio di ferro tra comune di Chiavari e provincia di Genova sull'uso del palazzetto dello sport, di cui ho scritto qualche giorno fa. L'assessore chiavarese, Valeria Leoni, risponde alla sua controparte genovese, Monica Puttini, sottolineando (questo è interessante) che "non vi è alcun corrispettivo mensile ma una tariffa d'uso oraria" di 15,55 euro più Iva, e che (questo è invece irrilevante) i termini del contratto sono stati definiti dalla giunta precedente, di centrosinistra come quella provinciale. Questo contribuisce a far chiarezza sulla questione, pur non spostandone i termini che a me paiono chiarissimi. A dire il vero, il diverbio nasconde ancora una volta l'annosa e irresolubile domanda di come sia possibile gestire razionalmente beni e servizi sottratti al mercato - è il caso della scuola ma anche del palazzetto dello sport, che non si capisce bene perché debba essere pubblico. Il mercato ha un fine - allocare le risorse in modo efficiente - e un mezzo - il sistema dei prezzi. I prezzi trasmettono informazioni sulla scarsità relativa di un bene o servizio, ossia sul rapporto tra domanda e offerta. Quando subentra il pubblico, questo meccanismo va a ramengo, e resta il chiacchiericcio.

martedì 16 settembre 2008

Comincia la scuola. Quando il primo sciopero?

Il Tigullio non è stato immune dalle polemiche sulla riforma della scuola. Il Secolo XIX riferisce di due linee di scontro, una "locale" e l'altra "nazionale".

La prima riguarda la richiesta che il comune di Chiavari ha fatto alla provincia di Genova: Palazzo Bianco ha concesso l'utilizzo gratuito del palazzetto dello sport, ma ha chiesto il pagamento delle spese di gestione (12.000 euro subito e poi 2.500 euro al mese). L'assessore provinciale all'Edilizia scolastica, Monica Puttini, grida al tradimento, ma onestamente non vedo come si possa contestare la scelta del primo cittadino chiavarese, Vittorio Agostino. Siamo di fronte, sempre e solo, all'ennesimo problema del disordine istituzionale italiano: enti diversi sono chiamati a cooperare, non avendo alcun incentivo a farlo. Quando si parla di federalismo fiscale, teoricamente si dovrebbe puntare a risolvere questo genere di faccende, responsabilizzando le amministrazioni e riallineando prelievo e spesa. Tanto più che, nel caso in questione, entra in gioco anche il fattore "scuola": in Italia l'istruzione è pubblica, gratuita e obbligatoria. Un cocktail micidiale che ha una e una sola conseguenza: lo scaricabarile. L'istruzione non è un investimento per nessuno, ma una spesa per molti. Finché non verranno scardinati questi fattori, continueremo ad assistere a spettacoli del genere.

A questo braccio di ferro, si è aggiunta - in numerose scuole del comprensorio - la rivolta degli insegnanti contro le riforme del ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini. Non ho un'opinione chiara sul progetto della Gelmini (qui trovate alcuni persuasivi argomenti critici), ma su due cose ritengo il ministro abbia pienamente ragione e meriti un deciso sostegno. Una è la questione del maestro unico: qui vi sono ragioni pedagogiche e finanziarie per ritornare alla "vecchia" impostazione, tanto più che il passaggio dal maestro unico al "tre per due", manco fosse una promozione al supermercato, furono principalmente di carattere clientelare (trainare dentro la scuola un po' di quelli che oggi si chiamano precari). Mi sembra giusto che coloro che beneficiarono di quella manovra, siano oggi chiamati a pagarne il conto. Più in generale, e questo mi porta alla seconda constatazione, trovo sinceramente assurdo che, ogni volta che qualcuno paventa un intervento sull'organizzazione scolastica, si scateni il finimondo (significativa l'intervista di Luigi Berlinguer sul Corriere). Gli insegnanti sono uno stakeholder importante, ed è quindi ragionevole ascoltare la loro voce: ma da qui a subirne sistematicamente il ricatto, ce ne passa. Quello che, però, lascia a bocca aperta è il comportamento degli studenti e delle loro famiglie, che - da consumatori - dovrebbero cercare un miglioramento qualitativo dell'offerta scolastica, e dovrebbero entrare nel merito delle scelte. Invece essi si schierano sistematicamente a difesa dello status quo (a suo tempo l'ho fatto anch'io, più o meno).

Perché si comportano e ci siamo comportati così? Il masochismo è un diritto, ma se diventa il comportamento maggioritario in una società, allora è l'inizio della fine.

lunedì 15 settembre 2008

Puttane e puttanate

Sul Corriere della Fontanabuona e del Levante, sono tornato sulle famigerate delibere di Chiavari e Lavagna. Sulla questione più generale della lotta alla prostituzione, segnalo questo ottimo articolo di Alberto sul Riformista.

domenica 14 settembre 2008

Enti fetenti


Le province sono, in effetti, la "quintessenza dell’ente inutile". Costose, ingombranti e senza competenze che non possano essere esercitate più e meglio dagli enti locali a circoscrizione territoriale più o meno ampia: regioni e comuni. Eppure, a queste possono essere accostate per inutilità –ma, grazie al Cielo, non per dimensione di bilanci e impicci burocratici- altri innumerevoli enti, tra cui spiccano per vezzosa futilità le comunità montane.

Istituite nel 1971 “ per la valorizzazione delle zone montane”, sono già state abolite in diverse regioni a statuto speciale (Sicilia e Sardegna; il Friuli Venezia Giulia dopo averle soppresse le ha clamorosamente resuscitate), mentre nel resto del paese permangono in gran numero (oltre 300). Qui, nel Levante, ad esempio, non abbiamo una provincia nostra ma in compenso vantiamo ben tre comunità montane (Val Fontanabuona; Val D’Aveto, Graveglia, Sturla e Val Petronio) senza che l'entroterra ne tragga un qualche sensibile beneficio.

Il governo Prodi se ne è occupato nella finanziaria 2008 sull’onda de “La casta” di Stella e Rizzo e ha pensato che fosse sufficiente un loro riordino: meno comunità, meno consiglieri e meno indennità. Il quarto gabinetto Berlusconi  invece non si è ancora espresso al riguardo e si limita a confidare nella cura dimagrante sancita l’anno scorso. Di abolizione tout court non se ne parla. 

E intanto la pressione fiscale aumenta

venerdì 12 settembre 2008

La forestale contro le Lucciole

Ebbene sì ieri sera come fedelmente riportato da Il Secolo XIX la Forestale ha emesso una multa al cliente di una Lucciola........ (sic!) Complimenti!!!
Inutile dire che ci sarebbero ben altri compiti da affidare al Corpo Forestale di Stato, infatti, sullo stesso quotidiano viene presentata la notizia dell'annoso problema degli incendi nel Tigullio e suo entroterra, quindi forse pensando che le Lucciole siano piromani è stato dato mandato anche al Corpo Forestale di controllare e combattare l'attività di meretricio nei nostri Comuni.
Dopo la dimostrazione di forza in Calabria (in Aspromonte c'è il maggior numero di Forestali d'Italia) dove, come sappiamo, la 'ndrangheta è fuggita a gambe levate di fronte a questi Berretti Verdi di tutto punto schierati, adesso anche da noi il meretricio non sarà più praticato con adestramento alla Full Metal Jacket (o alla Pretty Women???) tutto ciò sarà debellato e vivremo in un Golfo un pò bruciacchiato ma senza fuochi nei bidoni a lato delle strade.

mercoledì 10 settembre 2008

It's the market, baby

Il presidente dell'Area marina protetta di Portofino, Augusto Sartori, lancia quella che Il Secolo XIX definisce una "proposta shock" e che a me pare invece di palmare ragionevolezza: poiché i flussi turistici si sono concentrati nei weekend, gli esercenti (in particolare ristoratori e albergatori) potrebbero alzare i prezzi nei fine settimana, o scontarli nei giorni feriali. La cosa non dovrebbe stupire: almeno per quel che riguarda gli hotel, la stessa camera ha prezzi diversi nei differenti momenti dell'anno, riflettendo la maggior domanda che c'è nell'alta stagione. Perché, allora, non intensificare le variazioni di prezzo? Assumendo che non vi siano ostacoli legali (you never know), si tratterebbe di una efficace strategia di pricing, che sarebbe ancora più efficace se non tutti la seguissero - se cioè si affermasse una competizione, tra i vari esercizi commerciali, non solo sul prezzo, ma addirittura sulla distribuzione dei prezzi. L'effetto immediato sarebbe quello di disincentivare il turismo "mordi e fuggi"; l'effetto secondario sarebbe quello di ripescare, nei giorni feriali, una quota dei turisti persi nel fine settimana (alcuni verrebbero persi del tutto, probabilmente). L'abilità degli esercenti starebbe nel bilanciare questi due flussi, in modo tale che la perdita di reddito nel weekend sia (più che) compensata dall'aumento di reddito in settimana. Mi sembra un'ottima idea, che dimostra come la fantasia dei mercati sappia aggirare i problemi peggiori.

martedì 9 settembre 2008

Nessuna provincia. O una provincia in più?

Continua a far discutere la scelta, contenuta nella bozza Calderoli, di fare di Genova una città metropolitana. A parte che non è ben chiaro cosa sia, una città metropolitana, la preoccupazione espressa dai sindaci del Tigullio non è peregrina: culturalmente, economicamente e territorialmente, il nostro golfo è "altro" da Genova, pur essendo chiaramente afferente al genovesato. Se, comunque, la "città metropolitana" è una specie di mega-comune, progettato con lo scopo di assorbire nel perimetro delle grandi città i paeselli dell'interland, mi sembra che Genova non sia una grande città, e che il Tigullio non sia l'interland di nessuno. Verrebbe quindi da dar ragione al primo cittadino chiavarese, Vittorio Agostino, quando rilancia la vecchia proposta di istituire la provincia di Chiavari. Se non fosse che di province ne abbiamo troppe, non troppo poche. La provincia è, oggi, la quintessenza dell'ente inutile, e questo è doppiamente vero se si considera il processo federalista che sta faticosamente e con scarsi risultati coinvolgendo in paese da una decina d'anni. Il problema è che, se da un lato la creazione della città metropolitana creerebbe una serie di problemi pratici, la discussione non dovrebbe orientarsi a questi, quanto al tema più generale: il governo e il parlamento, maggioranza e opposizione, hanno oppure no il coraggio di abolire le province, e di delegare le loro funzioni a regioni e comuni?

domenica 7 settembre 2008

Una tassa sul turismo?

Secondo le anticipazioni, la bozza Calderoli sul "federalismo fiscale" (vabbé) conterrebbe la possibilità, per comuni e province, di istituire delle "tasse di scopo", in particolare sul turismo. La notizia ha destato la levata di scudi degli operatori turistici del Tigullio. Hanno ragione, ma hanno anche torto. La regola generale, quando si parla di tasse, è che "se tassi qualcosa, ne avrai di meno". Quindi, una tassa di soggiorno avrebbe l'effetto, al margine, di ridurre l'afflusso turistico. Si capisce bene che chi ci campa, di turimo, non ne voglia sentir parlare. E sarebbe particolarmente miope introdurre una simile imposta in un momento di crisi generale - sia reale, sia percepita - in cui i flussi turistici sono in decisa flessione. Ma la bozza del ministro delle Riforme non crea la tassa di scopo: dice solo che i comuni e le province possono crearla. Questo non è sbagliato. Anzi, tale logica andrebbe estesa: se l'essenza del federalismo fiscale sta nella responsabilizzazione degli enti locali (come spieghiamo nel pamphlet Tassiamoci da soli, in edicola dal prossimo weekend col quotidiano Libero), allora essi devono essere messi nella condizione di autofinanziarsi, e poter essere giudicati tanto sull'entità del prelievo, quanto sull'efficienza della spesa (mentre oggi, soprattutto con l'abolizione dell'Ici, i sindaci vengono valutati quasi soltanto sulla quantità della spesa, che dipende dalla loro abilità politica a negoziare con Roma i trasferimenti). Il problema della bozza Calderoli, insomma, è un altro: cioé che è dirigistica perfino nel concedere autonomia. A quanto si capisce, infatti, essa definirà alcuni tributi che i comuni potranno introdurre: non dà loro la possibilità di introdurre (o di rimuovere) tutti i tributi che vogliono. Solo ampliando al massimo lo spazio degli interventi possibili, si può creare una sana e robusta competizione fiscale, da cui ci si può aspettare una generale riduzione delle imposte.

venerdì 5 settembre 2008

Genova: bye bye bio

Per l'agricoltura biologica, le regole del mercato non valgono. Se un prodotto non tira, è colpa del cliente che non lo apprezza. Lo afferma Andrea Ferrante, presidente dell'Associazione italiana per l'agricoltura biologica: "Quello di dire che la mensa biologica non piace ai bambini è un vecchio trucco. Evidentemente a Genova c’è un problema di controllo di qualità dei prodotti, ma è colpa loro che non sono all’altezza, certo non dei prodotti biologici". Oggetto del contendere è la decisione dell'amministrazione genovese, di sospendere la fornitura di cibi bio nelle mense scolastiche, perché i bambini li rifiutano e perché si dimostrano essere di qualità inferiore. Ha spiegato l'assessore, Paolo Veardo, sul Corriere della sera di ieri: "dopo l’esperienza che abbiamo fatto nella refezione ci sono dei correttivi necessari. C’è poco da fare, ai bambini piace una mela rotonda, rossa, grossa, quelle biologiche, bruttine, ce le mandano tutte indietro. Dalla mensa scolastica alla spazzatura". Il problema non è solo di aspetto: i bambini rifiuterebbero anche il pollo bio e il sugo fatto con pomodori organici, mentre il riso biologico sarebbe più deperibile rispetto a quello convenzionale.

E' vero, dal punto di vista della qualità, quello che afferma Ferrante: "Se la qualità dei prodotti è scadente non si può imputare al fatto che sono coltivati con metodo biologico". Fatto sta che gli sbalzi di qualità nel biologico sono maggiori, e non potrebbe essere altrimenti, poiché il processo di selezione e la protezione contro parassiti e infestanti è giocoforza inferiore. Aggiunge Ferrante: "Semmai c’è da dire che in tutte le mense scolastiche in cui si introducono prodotti biologici è necessario anche avviare un percorso di educazione alimentare accurato, oltre appunto ai controlli di qualità, ma queste sono cose note a tutti e che funzionano e stanno funzionando anche in realtà ben più importanti". Su questo è, invece, difficile seguirlo: cosa vuol dire che per somministrare cibi bio bisogna avviare programmi di educazione alimentare? A me pare che, dietro queste parole, ci sia tutta la forza pelosa di una lobby "politicamente corretta": ti vendo il pomodoro, ma ti obbligo a comprarmi anche il caravanserraglio pseudoeducativo che gli sta dietro. In ogni caso, e torno al punto di partenza, la realtà semplice e banale è che sul mercato - persino in un mercato politicizzato e quindi per definizione irrazionale come quello degli appalti alle mense pubbliche - quello che alla fine conta è la soddisfazione del cliente, e questo è un compito che i produttori biologici sembrano rifiutare, come se fossero investiti da una missione più alta del rispondere a una domanda di mercato.

Un ulteriore tassello viene dalle parole di Paola Trionfi, responsabile ristorazione dell'Aiab: "Se la causa fosse un problema di qualità della fornitura, sarebbe doveroso risolverlo attraverso lo strumento del capitolato. Ma se la motivazione fosse invece la riduzione dei costi (vedi il taglio di 130.000 pasti in tutte le scuole entro il 31 dicembre all'avvio del nuovo capitolato d'appalto che attribuirà 71 punti alle offerta più economiche e solo 29 alla qualità), allora sarebbe meglio non ricalcare stereotipi ormai desueti del biologico brutto da vedere e poco buono da mangiare, anche perché difficile da trovare sul mercato". Probabilmente, c'è una componente di verità in quello che dice. Solo che essa va illuminata dalle considerazioni appena svolte. Cioè, l'amministrazione genovese si trova a gestire mense con costi superiori a quelli di mercato, e qualità (e sicurezza, ma questo è un altro discorso ancora) inferiori. Se uno la vede in questa prospettiva, non è certo stupefacente la decisione di mettere fine a una lunga e costosissima parentesi.

Crossposted @ RealismoEnergetico.org

giovedì 4 settembre 2008

mercoledì 3 settembre 2008

Lavagna goes global...

...and the world makes fun of it. La condanna di don Stefano Queirolo, parrocco della Madonna del Carmine a Lavagna, a sospendere le scampanate e risarcire con 60.000 euro la signora Flora Leuzzi è stata ripresa dal Guardian. Breve riassunto: la donna è una professoressa in pensione che vive vicino alla chiesa, e lamenta il fastidio dello sbatacchiamento di campane. Bon. Un solerte giudice del tribunale di Chiavari le ha dato ragione, obbligando il sacerdote a risarcirla per il danno biologico ed esistenziale, oltre che a sospendere lo scampanìo. Questo è il classico caso in cui il diritto scritto manifesta tutta la sua stupidità e la sua inferiorità rispetto alla common law. Perché qui la questione è abbastanza semplice: quando la signora ha preso casa vicino al campanile, il campanile c'era già, e il suono delle campane faceva parte del pacchetto. Prendere o lasciare. Suppongo che il valore dell'edificio scontasse questo disagio, come accade per le abitazioni a portata d'orecchio dai binari della ferrovia. Quindi, essa sapeva perfettamente a cosa andava incontro, e ha valutato il beneficio di vivere in un posto splendido superiore al costo delle campane. Oggi la legge, nella sua maestosa equanimità, dice: coi "diritti acquisiti" da generazioni di parroci ce ne facciamo dieci piani di morbidezza. Quello che conta è la deviazione del livello sonoro rispetto al rumore medio di fondo (davvero!). Sarà anche una sentenza perfetta in ogni sua virgola, ma a me pare comunque una boiata pazzesca.

martedì 2 settembre 2008

La liberalizzazione dei servizi pubblici locali...

...passa per l'unbundling.

Vietato prendere il treno

La crociata antiprostituzione del sindaco di Lavagna, Giuliano Vaccarezza, non si ferma di fronte a nulla. Sconfitta la libertà di parola, tocca ora alla libertà di movimento. Due secoli e mezzo di liberalismo, mezzo secolo di faticoso percorso comunitario, puf. Le puttane, zitte e ferme. Con una lettera al questore e al prefetto di Genova, il primo cittadino lavagnese si lamenta che le donnine "di colore" (l'avesse scritto un sindaco leghista, se lo sarebbero sbranato: ecché, se sono bianche le puttane allora vanno bene?) prendano il treno da Genova a Lavagna e ritorno. Quindi, chiede alla polizia ferroviaria "di effettuare controlli mirati a livello preventivo onde bloccarle prima che salgano sui treni, oppure - forse più agevolmente - direttamente sul treno, così da ostacolarne la discesa a Lavagna". Ora, non si capisce una cosa: perché dovrebbero essere bloccate e controllate? Perché sono di colore? Perché fanno le prostitute? L'unica possibile ragione potrebbe essere se sono clandestine - e alzo un sopracciglio vista la provenienza politica di Vaccarezza - ma, anche in questo caso, che succede poi?

PS Vaccarezza nella sua lettera protesta pure perché le belle di notte "sono in contatto fra loro tramite telefoni cellulari". Quando c'era Lui, caro Lei...

lunedì 1 settembre 2008

L'acqua a ogni costo

Il consigliere Emanuele Rustichelli, esponente di Forza Italia nel comune di Chiavari, ha inviato una lettera al sindaco, Vittorio Agostino, invitandolo a battere i pugni perché "i nostri amministratori locali, con tutte le armi a loro disposizione, controllino i bilanci di queste grandi società pubbliche come l'Iride, ex Amga, che rifornisce nel settore idrico circa un mililone di abitanti". A dire la verità, gli amministratori pubblici hanno già, e troppo, il naso in queste "grandi società": per quel che riguarda le nostre zone, il servizio è fornito da Idrotigullio, una controllata di Iride il cui statuto (come ha osservato Christian tempo fa) è blindato e assegna a Palazzo Bianco un potere assurdo e spaventoso (quello di scegliersi i soci).

In verità, comunque, a Rustichelli interessa abbastanza poco la gestione della società, quanto piuttosto i prezzi dell'acqua, che ritiene troppo alti. Come è costume per le municipalizzate, il sito di Idrotigullio è zeppo di informazioni tecnicamente corrette ma privo di informazioni utili e, quindi, non dice come i consumi vengano tariffati e perché. Ci spiega però che la legge fissa al 7 per cento la remunerazione del capitale investito, e questo è un primo punto: surprise surprise, l'azienda non ha alcun incentivo a essere efficiente, perché se lo è non potrà comunque produrre utili aggiuntivi da distribuire ai soci. Al tempo stesso, opera in condizioni virtualmente monopolistiche, e quindi foriere di inefficienze. A questo duplice problema - che è comune a tutt'Italia - si può rispondere in un solo modo: liberalizzando i servizi idrici e privatizzando le società che competono per fornirli.

Resta il nodo dell'aumento delle tariffe (contro Idrotigullio è stata proclamata una class action, che non esiste, ma si sa, conta l'effetto annuncio). In Italia (non solo nel Tigullio) c'è effettivamente un problema di prezzi dell'acqua, ma al contrario: sono troppo bassi, determinando sprechi e sottoinvestimento (come scrive oggi Francesco Giavazzi). Le perdite dalle reti idriche italiane (soprattutto al Sud) sono inconcepibili, e possono trovare rimedio solo creando un autentico sistema di mercato nel quale il prezzo sia effettivamente una misura di valore, e non la casella su cui si è assestato il boccino della politica.