domenica 7 settembre 2008

Una tassa sul turismo?

Secondo le anticipazioni, la bozza Calderoli sul "federalismo fiscale" (vabbé) conterrebbe la possibilità, per comuni e province, di istituire delle "tasse di scopo", in particolare sul turismo. La notizia ha destato la levata di scudi degli operatori turistici del Tigullio. Hanno ragione, ma hanno anche torto. La regola generale, quando si parla di tasse, è che "se tassi qualcosa, ne avrai di meno". Quindi, una tassa di soggiorno avrebbe l'effetto, al margine, di ridurre l'afflusso turistico. Si capisce bene che chi ci campa, di turimo, non ne voglia sentir parlare. E sarebbe particolarmente miope introdurre una simile imposta in un momento di crisi generale - sia reale, sia percepita - in cui i flussi turistici sono in decisa flessione. Ma la bozza del ministro delle Riforme non crea la tassa di scopo: dice solo che i comuni e le province possono crearla. Questo non è sbagliato. Anzi, tale logica andrebbe estesa: se l'essenza del federalismo fiscale sta nella responsabilizzazione degli enti locali (come spieghiamo nel pamphlet Tassiamoci da soli, in edicola dal prossimo weekend col quotidiano Libero), allora essi devono essere messi nella condizione di autofinanziarsi, e poter essere giudicati tanto sull'entità del prelievo, quanto sull'efficienza della spesa (mentre oggi, soprattutto con l'abolizione dell'Ici, i sindaci vengono valutati quasi soltanto sulla quantità della spesa, che dipende dalla loro abilità politica a negoziare con Roma i trasferimenti). Il problema della bozza Calderoli, insomma, è un altro: cioé che è dirigistica perfino nel concedere autonomia. A quanto si capisce, infatti, essa definirà alcuni tributi che i comuni potranno introdurre: non dà loro la possibilità di introdurre (o di rimuovere) tutti i tributi che vogliono. Solo ampliando al massimo lo spazio degli interventi possibili, si può creare una sana e robusta competizione fiscale, da cui ci si può aspettare una generale riduzione delle imposte.

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