lunedì 28 luglio 2008

Perché bisogna privatizzare Fincantieri

La discussione sulla privatizzazione - o, meglio, sul collocamento in borsa di una quota di minoranza - di Fincantieri ha tenuto banco nelle ultime sedute del consiglio comunale di Sestri Levante. La maggioranza ha votato una mozione di alcuni consiglieri di minoranza, che chiede di mantenere lo status pubblico dell'azienda; contrari i rappresentanti del centrodestra, allineati col governo, che su questo dossier ha stranamente posizioni liberali. Ho scritto brevemente sul tema sul Corriere della Fontanabuona e del Levante, ma tutto quello che serve sapere lo ha detto meglio e più diffusamente Jacopo Perego in un Focus dell'Istituto Bruno Leoni. Il punto essenziale, mi pare, non è tanto chiedersi se sia giusto o no privatizzare, quanto piuttosto interrogarsi se esistano delle ragioni per non farlo, e quali siano. L'assoggettamento alla disciplina della borsa, infatti, quanto meno garantisce una gestione più efficiente dell'azienda. Che può anche voler dire - non è possibile escluderlo, nel lungo termine - un ridimensionamento dell'organico. E' vero che questa è una scelta molto difficile, ma è ugualmente vero che mantenere un organico eccessivo è un danno per i contribuenti, per la competitività dell'impresa, e in ultima analisi anche per gli occupati, che vengono inutilmente tenuti laddove sono meno produttivi e si troveranno in difficoltà ancora maggiori quando arriverà il redde rationem - arriverà. Detto questo, non mi pare che al momento vi sia in vista alcun intervento del genere, quanto piuttosto un'esigenza di rendere più efficiente il funzionamento del cantiere, e consentire un afflusso di liquidità indispensabile per i necessari investimenti. Se non si accetta questa logica, il futuro sarà ancora più nero. Che sia privato oppure pubblico.

1 commento:

Maestro ha detto...

Chi si oppone alla quotazione di Fincantieri dimostra di non tener conto delle reali ragioni economiche, di competitività, di contingenza e di mercato di una eventuale quotazione di Fincantieri e quindi di non aver approfondito con attenzione quella che può essere una utile strategia per il futuro di azienda e lavoratori.
Detto ciò, desidero entrare subito nel merito della questione: per Fincantieri la quotazione in Borsa è da considerarsi un’opportunità!
Il progetto di Fincantieri viene da lontano e si trascina stancamente fin dal primo momento, a causa della pervicace opposizione della Fiom-Cgil; Fiom-Cgil che in questo suo atteggiamento si trova isolata anche sul fronte sindacale, considerando che tanto la Fim-Cisl quanto la Uilm-Uil sono invece apertamente schierate a sostegno dei piani messi in campo dall’amministratore delegato del Gruppo, Giuseppe Bono.
La Borsa può fare certamente paura quando non viene maneggiata con la dovuta cura, soprattutto da parte dei risparmiatori, alcuni dei quali, talvolta, si bruciano a causa di un incauto “fai da te” o perché scelgono imprudenti, incapaci o improvvisati gestori del proprio denaro. In termini di garanzie, invece, l’esperienza dice che le società quotate sono sottoposte a regole di vigilanza stringenti e neppure i clamorosi crac Parmalat, Cirio o la vicenda dei bond argentini sono sufficienti a dimostrare il contrario.
Dietro la paura della Borsa manifestata dalla Fiom e, con differenti motivazioni, da certi settori della politica, c’è in realtà una ragione che, in tutta evidenza, appare di natura ideologica e punta a mantenere sotto il controllo pubblico attività che, proprio perché strategiche, invece, devono assolutamente aprirsi a seri investitori privati e, come recentemente ricordato dal ministro per lo Sviluppo Economico Scajola, anche, eventualmente, ad investitori stranieri. “E’giusto – ha affermato il ministro, riferendosi alla auspicata quotazione – fare un salto di qualità, consentire a questa azienda una programmazione a più lungo termine, permetterle di reperire direttamente sul mercato le risorse di cui ha bisogno, non diversamente dalle altri grandi imprese del settore con le quali Fincantieri è chiamata quotidianamente a confrontarsi sul mercato globale”. “Fincantieri - ha aggiunto Scajola- è una straordinaria ricchezza dell’Italia che lavora e produce. Il governo ne è consapevole e si adopererà per valorizzarla ulteriormente in modo da consentire al Paese di continuare a disporre di quel patrimonio di capacità umane e dotazioni tecniche in grado di portare a risultati eccellenti, apprezzati ed invidiati in tutto il mondo”.

Desidero qui ricordare il caso Alitalia che credo renda testimonianza di come la Borsa non metta al riparo dalla cattiva gestione, ma allo stesso tempo ritengo che il caso Alitalia declini il postulato che la mano pubblica non si faccia assolutamente preferire a quella privata, essendosi, la mano pubblica appunto, rivelata capace del disastro di cui siamo tutti a conoscenza.
La quotazione di Fincantieri, quindi, non va che presa per quello che è: un modo per raccogliere denaro, grazie al quale finanziare piani industriali di crescita. Ogni altro ragionamento può diventare sterile e capzioso, compreso quello relativo ai livelli e alle questioni occupazionali.
Certo, l’ultima cosa di cui il Paese ha bisogno è la perdita di posti di lavoro, ma è anche giunto il momento di accettare la realtà dei fatti e sacrificare qualcosa oggi, cosa che, per quanto antipatico o impopolare possa sembrare, significherebbe sollevare un’azienda e pensare al domani. Cioè pensare alla sicurezza ed al posto di tanti altri lavoratori.
La Borsa, quindi, come ho detto, può incutere pure qualche timore, perché fatalmente finisce per accelerare alcuni processi di riorganizzazione; ma se questa esigenza esiste è opportuno affrontarla subito, anziché rinviare continuamente e prolungare una sofferenza che, volenti o nolenti, è destinata a produrre negatività, fino al punto di minacciare la sopravvivenza dell’azienda stessa.
L’offensiva coreana in Europa oramai è dichiarata: dopo aver comprato i cantieri Aker, primi concorrenti di Fincantieri nella costruzione di navi da crociera, ora i coreani della Stx puntano alla conquista della maggioranza assoluta. Si può tenere testa ai concorrenti, a condizione di poter giocare ad armi pari, cioè disponendo di risorse necessarie per nuovi investimenti, acquisizioni e ordini.
E’ evidente che la situazione di Fincantieri è questa: o trova i danari per dispiegare e realizzare i propri progetti di sviluppo oppure, arrivati alla saturazione dei mercati in cui oggi è leader, per l’azienda le prospettive si fanno assai complicate. Senza la quotazione c’è il ragionevole timore che si possa arrivare ad un forte ridimensionamento, in quanto è difficile reperire altrimenti le risorse necessarie.

L’andamento del mercato borsistico non condiziona l’andamento di una azienda. Piuttosto è l’azienda che può condizionare il titolo e, se i fondamentali sono solidi, può contrastare anche i momenti più difficili di mercato come sono quelli attuali.
I conti di Fincantieri è vero che sono positivi, aumenta il valore della produzione ed il margine operativo lordo, mentre l’utile netto rimane stabile a circa 45 milioni di Euro; ma quel che preoccupa come detto è la mancanza di soldi per portare avanti gli investimenti che servirebbero a dare attuazione ad urgenti e necessarie iniziative industriali di rafforzamento strategico e di ammodernamento e sviluppo dei cantieri. E’ per questo che la quotazione in borsa dell’Azienda è entrata da subito tra le priorità del Governo Berlusconi. Il ministro Tremonti ha inserito il progetto nel piano triennale sulla finanza pubblica. E lo sbarco sul listino di Fincantieri è un passo ritenuto indispensabile dall’amministratore delegato Bono, per poter dare avvio ad un piano di investimenti da 800 milioni di Euro. Lo stesso Bono ha sentenziato con una frase: ”Solo chi ha paura del futuro non ha futuro”, sostenendo inoltre che è un ‘vizio’ tutto italiano l’apertura al mercato di società pubbliche, solo quando queste sono in crisi.
Sulla quotazione, peraltro, i Governi che si sono succeduti, benché di colore politico diverso, hanno sempre mantenuto una posizione di apertura. Anche l’esecutivo di Romano Prodi, è noto, ha inserito la questione nell’ultimo Dpef del 2007, senza però riuscire ad avviare la privatizzazione. E tutti i governi hanno capito la priorità dell’approdo in Borsa per Fincantieri, anche i virtù di diversi elementi, quali l’indebolimento del dollaro sull’Euro, il costo delle materie prime e la necessità di ridurre il profilo di rischio per la naturale ciclicità del lavoro dell’azienda. Ricordiamo, comunque, che, nel piano strategico dell’attuale Governo, lo Stato manterrebbe il 51% del capitale o comunque la quota di controllo e che sarebbero tutelati i livelli occupazionali. Anzi, nel breve periodo si prevedono addirittura 1500 assunzioni, come più volte ribadito, attraverso gli organi di stampa, dall’amministratore delegato Bono. Anche il sindacato, ha affermato Bono, “deve prendere atto che solo attraverso un deciso incremento di produttività ci sono spazi per poter competere ed avviare una giusta distribuzione di parte della ricchezza prodotta ai lavoratori”.
Va da sè, quindi, che sia necessario accelerare il piano di investimenti. Degli 800 milioni di cui ho pocanzi accennato, oltre 500 milioni sono per i cantieri italiani. Per compensare le facilitazioni di cui godono i concorrenti del Far East si deve puntare anche ad una maggiore efficienza dell’impiantistica e dei cantieri stessi. Ad esempio a Sestri Ponente il cantiere è diviso in due dalla ferrovia. E ciò cosa significa? Spazi separati in cui costruisci, assembli e poi allestisci. Altamente diseconomico!

Per concludere, quindi, considero la quotazione in borsa un’occasione da cogliere, in quanto, averne timore, significa buttare alle ortiche una splendida opportunità. Senza, peraltro, risolvere i problemi!