mercoledì 28 gennaio 2009

Cambiano le relazioni industriali. Accettare o subire?

Sul Secolo XIX di oggi, il lettore Davide Erculei se la prende con un mio editoriale di un paio di giorni fa, nel quale avevo commentato positivamente l'accordo sulla riforma del modello contrattuale (e negativamente l'opposizione della Cgil). Secondo Erculei, io sarei "lontano dalla triste realtà dei lavoratori dipendenti" perché sopravvaluterei la disponibilità delle aziende a "un confronto di secondo livello con le parti sociali". Inoltre, io sostenevo che sia un segno di modernità procedere verso un contratto ritagliato sempre più sulle caratteristiche individuali del lavoratore e dell'azienda: la posizione contraria del sindacato di Guglielmo Epifani sarebbe invece, secondo Erculei, "difendere il singolo dal ricatto del datore di lavoro". Quindi, ciò che per me è modernità "è una non cultura voluta e imposta dai potenti, avallata dai media, che ha come unico scopo quello di trasformare persone con un pensiero critico e proprio in dipendenti asserviti e disponibili per le ore lavorative e consumatori di beni inutili nelle restanti". Quanta grazia! A parte che il consumo di "beni inutili" è esattamente ciò che consente alle "persone con un pensiero critico e proprio" di lavorare - no domanda, no lavoro baby - questo discorso mi sembra del tutto astratto e campato in aria. Se mai è stato vero che la sindacalizzazione ha prodotto un miglioramento delle condizioni dei lavoratori (almeno nel dopoguerra, mi sembra ci sia una certa evidenza del contrario, ma sorvoliamo) oggi non lo è più. E' completamente cambiato il modello economico, sono mutate le esigenze di imprese e lavoratori, è diverso il contesto internazionale. Nella moderna economia, cioè, è sempre più importante il "capitale umano", cioè gli investimenti che il lavoratore sa fare su se stesso, e quindi la sua professionalità, capacità, impegno e inventiva. Certo, esistono professioni per cui questo è marginalmente vero o non lo è del tutto, e al massimo si potrebbe sostenere il mantenimento del vecchio modello per queste (cosa su cui ho dei dubbi). La generalità dei mestieri, però, si fonda ormai sulla prestazione individuale, e questo fa sì che il modello di relazioni più efficiente sia quello che sa valorizzare queso tipo di impegno. Il lavoratore non va ricompensato per le ore che passa tra una timbrata e l'altra del cartellino, ma per il valore che sa creare - cioè per la sua produttività. Mi sembra un grande passo avanti il fatto che il governo abbia saputo e voluto percorrere questa strada, e che una parte significativa del fronte sindacale (così come dell'opposizione) abbia deciso di giocare questa partita. In un certo senso, la posizione della Cgil ne dimostra la correttezza: nessuna vera riforma può mai avvenire senza scontentare qualcuno.

1 commento:

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu