Il Secolo XIX, 27 dicembre 2008
Il primo carrozzone pubblico del 2009 nascerà a Sestri Levante? Lo sapremo lunedì, quando il consiglio comunale dovrà discutere una delibera volta ad “assicurare il controllo pubblico… su tutte le attività e le strutture in ambito portuale”, compresi forse i servizi strettamente commerciali. A tal fine, è prevista la creazione di un “soggetto giuridico societario costituito dal comune e da esso controllato attraverso la proprietà maggioritaria del relativo capitale azionario”, le cui attività dovranno “garantire comunque all’amministrazione pubblica una quota adeguata del reddito prodotto dall’utilizzazione dei beni pubblici demaniali”. Queste poche righe sono un concentrato del male che caratterizza l’erogazione dei servizi pubblici in Italia, e che li rende più costosi e meno efficienti. In pratica, la giunta guidata da Andrea Lavarello vuole creare una nuova società controllata dal comune, che dovrebbe al tempo stesso gestire – presumibilmente in affidamento diretto – tutte le concessioni e i servizi portuali, e fornire all’erario entrate sufficienti. Cioè, il progetto di fondo è quello di cancellare ogni forma di possibile concorrenza, istituendo una tassa occulta sulle attività portuali.
La nuova società si andrebbe ad aggiungere alle cinque già partecipate dal comune di Sestri Levante (che ha meno di ventimila abitanti), tra cui Stella Polare (che gestisce la casa di riposo e la farmacia) e Fondazione Mediaterraneo (il cui scopo è la “promozione della ricerca avanzata e la diffusione della cultura della comunicazione, intesa come scambio di informazioni che utilizzino tutti i media, dalla parola, alla carta stampata, fino alle più avanzate tecnologie telematiche”, cioè macina soldi pubblici e produce chiacchiera privata). Non c’è nulla, ma proprio nulla, che sia oggi fatto da queste realtà e che non possa essere svolto meglio da soggetti privati in regime competitivo.
La delibera della giunta di Sestri Levante sostiene che “evidentemente” un soggetto privato non sarebbe in grado di svolgere propriamente tutte le funzioni richieste, ma poi richiede che la nuova compagnia pubblica fornisca al comune un sufficiente flusso di cassa: cioè, l’obiettivo non è minimizzare il costo per il consumatore, ma massimizzare il reddito per il comune. E’ il più classico degli esempi di rendita da monopolio. L’unica differenza tra un monopolio privato (garantito dalla legge) e uno pubblico è che nel primo la rendita si trasforma, generalmente, quasi integralmente in extraprofitti, mentre nel secondo si ripartisce tra extraprofitti e inefficienze (per esempio, livelli occupazionali eccessivi).
Quella di cancellare la competizione per occupare un mercato non è, purtroppo, un’abitudine del solo comune di Sestri Levante. Un’inchiesta di un paio di anni fa del Liguria Business Journal ha mostrato come le società controllate dal comune di Genova abbiano un fatturato complessivo di più di un miliardo di euro e occupino quasi settemila persone; il comune della Spezia partecipa a quarantasei diverse società, Savona undici, Imperia dodici, Chiavari quattro. Sul sito della provincia di Genova vengono censite ventiquattro partecipazioni, mentre la Regione Liguria partecipa direttamente a tre consorzi e otto aziende, tra cui la Filse, una holding che ha in pancia una pluralità di altre compagnie.
Quando va bene, questi soggetti introducono inefficienze sul mercato o ne estraggono rendite a favore dell’azionista pubblico; quando va male, sono veicoli fuori bilancio utilizzati per nascondere i puffi delle amministrazioni o come strumenti clientelari. In ogni caso, quel che davvero conta non è se appartengano, individualmente, all’una o all’altra categoria: il semplice fatto che possano appartenere alla seconda, e che comunque non arrechino alcun beneficio al consumatore, dovrebbe essere più che sufficiente ad abbandonare questa forma di controllo dell’economia. Nella maggior parte dei casi, poi, queste società non sono quotate a Piazza Affari, e dunque non hanno neppure quel minimo di disciplina finanziaria che è imposta dalle regole della borsa.
Il bello è che tutte le parti politiche dicono di voler porre fine allo “statalismo municipale”: ci ha provato, nella scorsa legislatura, il ministro degli Affari regionali, Linda Lanzillotta, con un disegno di legge che avrebbe abolito l’affidamento diretto (e dunque fatto venir meno l’incentivo a costituire società di comodo). Il progetto fu affossato dall’opposizione ideologica di Rifondazione comunista, Comunisti italiani e verdi. All’indomani delle elezioni 2008, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, avanzò un’idea simile, che era in parte contenuta nella finanziaria, ma che venne subito neutralizzata su opportunistica richiesta della Lega (che nei suoi comuni gestisce molte e ricche municipalizzate). Se in Parlamento sono le ali estreme a fare il lavoro sporco, a quanto pare in periferia le cose vanno diversamente. I sindaci, di qualunque colore essi siano, se ne fregano delle liberalizzazioni e vanno avanti per la loro strada. Il primo cittadino di Sestri Levante, Lavarello, appartiene al Partito democratico come Lanzillotta, ma si comporta coerentemente con le indicazioni dell’asse comunista-leghista. Lo stesso fanno altri sindaci del Pd e del Pdl. L’assalto al portafoglio dei consumatori e l’istinto al controllo pubblico dell’economia sono, quasi per definizione, bipartisan.
sabato 27 dicembre 2008
A Sestri Levante Babbo Natale porta un baraccone pubblico
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2 commenti:
Molto ben scritto.
molto intiresno, grazie
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