sabato 18 ottobre 2008

Credere, obbedire, combattere

Il Popolo della libertà "non è un partito liberale di massa". Lo dichiara la voce autorevole di don Gianni Baget Bozzo, ascoltato consigliere del Cav., in un polemico intervento sul Giornale di oggi. Il sacerdote genovese prende le mosse dalla maretta che scuote il gruppo consiliare del Pdl nel comune di Genova, ufficialmente e risolutamente contrario alla realizzazione della moschea nel capoluogo ligure, nei fatti diviso. Da un lato, l'ex sottosegretario ed ex parlamentare Alberto Gagliardi, dall'altro (e più rilevante) il senatore già candidato sindaco Enrico Musso, che ha promosso un convegno a più voci e, in passato, ha assunto posizioni più moderate rispetto a quelle del suo partito (e della Lega).

La tesi di don Gianni è, sostanzialmente, che dentro il Pdl nessuno è letto per meriti personali, e tutti per grazia ricevuta. Forse è vero (anche se, almeno nel caso di Musso, qualche merito deve pur esserci, se nella corsa per Palazzo Tursi i voti personali hanno superato quelli di lista). Ma è un bene? Su questo ho, sinceramente, dei seri dubbi. Non sono un esperto di sistemi elettorali, tema che (mi perdoneranno i miei amici che la pensano diversamente) trovo peraltro piuttosto noioso. Mi pare però che sia importante concedere al cittadino qualche potere che non sia il mero acquisto a busta chiusa della proposta di un partito. Questo potere si può declinare in due modi: in un sistema maggioritario, voto un candidato scelto da altri ma conosco la persona che beneficerà del mio appoggio; in un sistema proporzionale, scelgo il candidato sapendo che il mio voto potrebbe portare acqua al mulino di un altro, più abile ad aggregare consenso. La terza via italiana è quella di un sistema proporzionale nel quale questo rischio è abolito, nel senso che voto il partito senza sapere la persona; o che, per votare una persona che apprezzo, sono costretto ad appoggiare implicitamente tutti coloro che, nell'ordinamento della lista, arrivano prima. Questo porta al risultato che è stato mirabilmente sintetizzato dal presidente del consiglio, quando ha affermato che il ruolo dei parlamentari è quello di alzare la manina per dir di sì (o di no, se stanno all'opposizione) alle decisioni del governo.

L'idea che gli eletti debbano rispondere unicamente al partito, e mai alla loro coscienza (o al loro interesse), mi sembra non solo velleitaria, ma soprattutto umiliante - per gli eletti, e per chi li vota. Nel senso che, se una persona occupa un ruolo, si suppone che debba dare un contributo. La democrazia è un meccanismo molto imperfetto che consente a quanti subiscono tale ruolo di giudicare, una volta ogni n anni, chi lo occupa. A che serve eleggere e farsi eleggere, se poi coloro che occupano una poltrona devono comportarsi come automi e credere, obbedire, combattere? E, analogamente, che senso hanno tutti i discorsi che tutti facciamo, chi al bar chi sui giornali (credetemi, non c'è grande differenza), sull'esigenza di selezionare una classe dirigente cazzuta? Se l'apporto del singolo eletto si deve ridurre al sottostare agli ordini che vengono dal piano di sopra, allora il singolo eletto non serve, è inutile. Magari è anche così, ma allora tanto varrebbe prenderne atto e abolire le assemblee, mantenendo in vita solo gli organi di governo. Non sto dicendo che sarebbe sbagliato o controproducente, sto solo dicendo che ci risparmierebbe un sacco di noie e di costi.

Sto anche dicendo che quella di Baget mi sembra una visione riduttiva del ruolo dei parlamenti, che sono figli della generosa illusione liberale secondo cui era possibile imbrigliare il potere, dividendolo. L'illusione è fallita, sostanzialmente, come qualche secolo di parlamentarismo dimostra. Ma non mi pare una buona ragione per buttare il bambino e tenere l'acqua sporca.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

Anonimo ha detto...

imparato molto