sabato 25 ottobre 2008
Il protezionismo dell'aperitivo
Ai baristi genovesi non piace la concorrenza. Forti dei numeri secondo cui, nella città della Lanterna, ci sono più bar che negli altri capoluoghi italiani, essi chiedono al comune di limitare il numero di licenze, visto anche l'effetto della crisi che si fa sentire. A Palazzo Tursi, trovano porte spalancate. Peccato che tutto ciò sia contro gli interessi dei consumatori. Ci sono due modi per selezionare quali e quanti bar debban stare all'interno di un'area - per esempio, il centro storico genovese. Uno è il mercato; l'altro la regolamentazione. In un sistema di mercato, chiunque è libero di avviare un esercizio. Se offre un servizio migliore, diverso, o più economico degli altri, guadagna quote di mercato; altrimento, viene espulso rapidamente. Sono i clienti, coi loro soldi, a decidere. Attraverso la regolamentazione, la scelta è invece puramente burocratica: cioè, dipende dall'umore dell'assessore, dall'oroscopo dei funzionari, o dall'entità delle tangenti. In generale, però, la regolamentazione burocratica (come mostra il caso dei taxi, che a Genova sono probabilmente "troppi") tende a conservare l'esistente, buono o cattivo che sia. Poiché non necessariamente l'esistente è ottimale - anzi, non lo è quasi mai - questo si traduce in un danno inflitto tanto ai consumatori, che possono contare su un'offerta meno dinamica e competitiva, quanto agli outsider, ai quali è impedito di giocare le loro carte. Tempo fa è uscita la notizia che il comune di Imperia ha deciso di rimuovere tutti i vincoli all'avvio di nuovi bar, e dicevamo che "vorremmo essere tutti imperiesi". Adesso, ancora di più.
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