Il Secolo XIX, 28 ottobre 2008
La battaglia di striscioni tra i dipendenti della centrale Enel di Genova e i militanti di Greenpeace non è lo scontro anacronistico tra economia ed ecologia, lavoro e ambiente. Il reciproco scambio di accuse, clima killer contro ecocazzari, è la versione popolare di uno tra i temi più complessi che la politica oggi si trova ad affrontare, e cioè quale valore si debba dare alla cosiddetta sostenibilità, come affrontare le tante incertezze che a essa sono sottese, e con quali tempi. E’ lo stesso tipo di confronto, per certi versi, che vede su un livello più alto opporsi l’Italia e l’Unione europea sul pacchetto clima, ma in modo più crudo e più vivo. Qui non c’è gioco lobbistico o guerra di cifre: qui c’è chi difende il proprio reddito e chi pensa che le sue attività mettano a repentaglio il futuro di tutti.
Per cominciare, dunque, i dati. L’impianto a carbone che sta tra il molo San Giorgio e l’ex Idroscalo risale al 1927-28, quando era la centrale più grande d’Europa; ma non è, ovviamente, la stessa cosa di allora. I due gruppi originari, da 25 megawatt ciascuno, sono stati più volte sostituiti, e ora la potenza installata è pari a 300 megawatt. I cambiamenti non hanno riguardato solo la crescita dimensionale, ma anche l’adeguamento alle normative ambientali, sempre più stringenti. Questo è un dato cruciale: come tutti gli impianti italiani, anche quello sotto la Lanterna deve rispettare le regole nazionali e comunitarie. Come ogni impianto alimentato a carbone, anche questo ha emissioni di anidride carbonica (CO2), sospettata di contribuire al riscaldamento globale, relativamente alte. Va però notato che la CO2 non è dannosa alla salute o all’ambiente, di per sé – tanto che chiunque la ingurgita inconsapevolmente quando beve bibite gassate. Gli stessi sforzi europei non puntano a limitare le emissioni di biossido di carbonio dalle singole centrali, ma a contenere il totale delle emissioni. Questa è una differenza sostanziale rispetto agli inquinanti propriamente detti, come il monossido di carbonio, gli SOx, gli NOx e le polveri, che in concentrazione eccessiva sono epidemiologicamente correlate a diversi mali.
Dal punto di vista pratico, la centrale genovese serve a soddisfare i consumi cittadini. Non è possibile, semplicemente premere il tasto “off”. “E’ possibile sostituire la potenza della Lanterna con fonti pulite come eolico e solare”, ha detto ieri al Secolo XIX il responsabile campagna energia e clima di Greenpeace, Francesco Tedesco. Ammesso che sia vero, non sarebbe sufficiente: l’impianto Enel lavora, mediamente, tra le quattro e le cinquemila ore all’anno, e soprattutto può entrare in funzione ogni volta che è necessario. Solare ed eolico funzionano, in media, un migliaio di ore all’anno, cioè a parità di potenza installata generano tra un quarto e un quinto dell’elettricità, e per giunta lo fanno quando le condizioni climatiche lo consentono; inoltre, costano di più, per chilowattora prodotto, e l’extracosto ricade sulle spalle dei cittadini attraverso la tariffa. Sarebbe come confrontare due automobili con lo stesso numero di cavalli: una si muove mediamente cinquantamila chilometri l’anno e si mette in moto quando girate la chiave. L’altra è alimentata dal sole: ha un costo-chilometro superiore, vi consente di percorrere al massimo diecimila chilometri all’anno, e cammina solo quando pare a lei. E’ ovvio che questi due veicoli non sono realmente alternativi, nel senso che il secondo non può sostituire il primo. Fuor di metafora, le nuove rinnovabili sono splendide, ma al momento non sono in grado, per ragioni tecnologiche ed economiche, di rimpiazzare le fonti convenzionali, cioè i combustibili fossili e il nucleare. Possono svolgere un ottimo ruolo al loro fianco, ma è irrealistico pensare che possano fare di più. Per questo il valore per la società di un chilowattora a carbone è superiore a quello dello stesso chilowattora solare o eolico – e il suo costo è inferiore.
Ciò non significa che non si possano, nel lungo termine, immaginare cambiamenti anche sostanziali nel nostro panorama energetico. Ma essi non possono non venire dal progresso tecnologico, dallo sviluppo di fonti che siano, al tempo stesso, competitive e pulite. Pretendere mutamenti drastici e immediati è utopistico, se non dannoso. Il carbone, peraltro, occupa un ruolo marginale nel paniere energetico italiano, a differenza di quanto accade, e non senza motivo, nel resto d’Europa – come ha recentemente notato il segretario nazionale della Filcem-Cgil, Giacomo Berni. Anche perché in un settore che, come quello energetico, ha un’alta intensità di capitale, le evoluzioni sono per loro stessa natura morbide, graduali. Difficilmente avvengono con degli strappi bruschi. Sul piano occupazionale, questo significa che i centoventi lavoratori della centrale Enel hanno ragione a difendere il loro posto. E’ chiaro che le loro rivendicazioni hanno l’obiettivo di tutelare la loro posizione individuale, ma essa coincide col più ampio e generale interesse a disporre di forniture energetiche affidabili, continuative, economiche e a impatto ambientale ragionevolmente contenuto. L’Enel si è impegnata con la regione Liguria a smantellare la centrale entro il 2020: dando il tempo di riqualificare il personale, una parte del quale nel frattempo andrà in pensione, e di rimpiazzare l’elettricità oggi prodotta col carbone genovese. Il passaggio da una fonte di energia a un’altra, o meglio l’evoluzione del mix energetico nel suo complesso, non può prescindere dalla creazione di un servizio migliore – cioè efficiente ed economico. Risolvere questioni complesse è difficile e richiede tempo: molto più che scalare la Lanterna.
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1 commento:
Il carbone è la peggiore fonte di energia per le emissioni di gas serra. Quantità di gas serra generati dall'uomo per energia prodotta:
carbone: 949 - 1280 g/KWh (media: 1070 g/KWh)
petrolio: 519 - 1200 g/KWh (media: 880 g/KWh)
gas naturale: 485 - 991 g/KWh (media: 640 g/KWh)
fonte: Dones, Heck, Hirschberg - "Greenhouse Gas Emissions From Energy Systems: Comparison and Overview" - PSI Annual Report 2003 Annex IV, Paul Scherrer Institut, Switzerland (url: http://gabe.web.psi.ch/pdfs/Annex_IV_Dones_et_al_2003.pdf)
Il nucleare, che risolve il problema delle emissioni, è afflitto da altre problematiche:
1) costo e tempo di costruzione delle centrali
In Inghilterra, la costruzione di una nuova centrale a gas naturale (Severn Power a Newport, nel Galles) da 800 MW costerà 400 milioni di £, mentre la costruzione di una nuova centrale nucleare (Olkiluoto 3 in Finlandia) da 1600 MW costerà 2 miliardi di £.
La centrale inglese "Sizewell B" ha una potenza di 1188 MW e sono stati necessari 13 anni per costruirla. Nel 1991, quando sono iniziati i lavori, il costo era di 2,73 miliardi di £, attualmente circa 3,7 miliardi £.
Il costo si aggira tra i 2,5 e i 3,75 euro al KWh
2) riserve di uranio limitate
Le stime della IAEA sono di circa 85 anni, tranne ipotizzare qualche tecnologia ancora da dimostrare (http://www.iaea.org/NewsCenter/News/2006/uranium_resources.html)
3) smaltimento delle scorie
Forse non sarebbe meglio iniziare ad investire nelle fonti rinnovabili? E' possibile immagazzinare l'energia prodotta in eccesso in qualche periodo della giornata (come durante il giorno per gli impianti solari) e immetterla nella rete durante i picchi di richiesta o quando non è possibile ottenere energia.
In particolare, il solare termodinamico, proposto da Rubbia, potrebbe essere utilizzato nel Sahara. Gli stati africani potrebbero vendere energia e forse avrebbero una piccola possibilità di crescere economicamente.
Altrimenti, si può sperare nella riuscita della fusione nucleare, con il prototipo del reattore ITER.
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