venerdì 7 novembre 2008

Io sto coi precari

Non fraintendetemi: non sto coi precari nel senso che ne condivido (da precario, per così dire) la richiesta di debellare il precariato. Tutt'altro. Sto coi precari nel senso che sono uno di loro, cioè una persona senza un contratto per la vita. Una persona, aggiungo, che non vuole un contratto per la vita. Ma sto coi precari anche in un altro senso: condivido quasi interamente ciò che il Comitato precati della Liguria ha scritto in una lettera aperta al ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta. Loro propongono una sfida: caro ministro, scelga un'università, quella che vuole, faccia piazza pulita dei dipendenti a tempo indeterminato e la metta in mano ai "precari"; vedrà che le cose funzioneranno meglio. Per loro è, forse, una provocazione. Per me no. Per me è una cosa serissima. Nei paesi civili, infatti, le cose funzionano così, e maggiore è la responsabilità di un dipendente, minori sono le garanzie sul fatto che non potrà essere licenziato. L'università, come la scuola, è un servizio offerto ai consumatori, cioè gli studenti e le loro famiglie, e occorre strutturarla in modo tale da creare i giusti incentivi a migliorarla. Oggi quegli incentivi non ci sono, perché, una volta entrato, nessuno può essere schiodato, neppure se lavora poco e male. Nei paesi civili, dicevo, le cose vanno così: i contratti sono a tempo determinato, e chi lavora bene non ha nulla da temere, anzi è premiato con la parte variabile del salario. Chi lavora male, fosse anche un premio Nobel, viene accompagnato alla porta. Per questo condivido la lettera dei precari liguri. Credo anch'io che le università italiane abbiano bisogno, tra le altre cose, di essere responsabilizzate, e così i loro dipendenti, docenti e no. L'Italia ha bisogno di più precari e precariato, cioè di più responsabilità.

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