martedì 5 agosto 2008

Finanziamenti diretti agli asili privati: 225 mila volte no

Il comune di Chiavari ha graziosamente deciso di distribuire, tra scuole per l'infanzia e asili privati, la considerevole somma di 225 mila euro in tre anni. Obiettivo del provvedimento è "incrementare l'offerta formativa", grazie a un contributo regionale specificamente destinato al supporto a scuole paritarie. Si tratta di una cifra molto importante: nel 2007, Chiavari ha speso complessivamente, per la scuola materna, circa 530 mila euro, e per tutte le voci dell'istruzione pubblica circa 1,8 milioni di euro. Quindi, 75 mila euro all'anno di contributo equivalgono a quasi il 15 per cento della spesa per asili, e oltre il 4 per cento della spesa totale per istruzione. Altrettanto importante è il numero di famiglie coinvolte: circa il 40 per cento dei bambini frequenta scuole private per l'infanzia, un dato sostanzialmente omogeneo a quello provinciale.

Purtroppo, se capisco bene la legge regionale del 2006, il finanziamento regionale è vincolato all'erogazione diretta, sebbene non vi sia traccia di una qualche intenzione differente da parte del comune. In ogni caso, mi pare una soluzione non accettabile, perché di fatto assegna all'ente pubblico il compito di ripartire i contributi secondo logiche politiche, che in generale non riflettono (perché non possono riflettere) gli effettivi meriti delle singole istituzioni scolastiche. Il problema è che i burocrati comunali, per quanto ben intenzionati e preparati, non coincidono con la domanda di asili, e quindi non hanno un vero incentivo - né le informazioni - a valutare quali siano gli asili migliori, quali meritino di essere premiati e quali invece vadano lasciati perdere. Solo il mercato, cioè gli utenti reali, può esprimere questo giudizio. Tra parentesi, lo stesso problema esiste a monte: una rapida lettura del Piano regionale 2008-2010 per il diritto allo studio, e in particolare la parte relativa alle scuole per l'infanzia, rivela come i criteri di assegnazione dei finanziamenti ai comuni siano meramente burocratici, mentre non sia previsto alcun controllo ex post sull'efficienza della spesa, né sia definito alcun criterio di valutazione in merito. Quindi, la logica della regione verso i comuni, e dei comuni verso le scuole, è: se disponete di certi requisiti oggettivi, io vi finanzio; e purché voi siate in grado di mantenere l'apparenza di un utilizzo ragionevole dei finanziamenti, non effettuerò alcuna verifica su come e dove avete speso i soldi.

Quindi, se si dispone di 75 mila euro all'anno da spendere sull'educazione, sarebbe meglio creare dei voucher da distribuire alle famiglie, le quali potranno spenderli presso gli asili di loro gradimento. Solo in questo modo si può innescare un processo di competizione e selezione virtuosa, che al tempo stesso metta in concorrenza gli asili e garantisca pari condizioni a tutte le famiglie, evitando quindi di impiegare quelle risorse in modo regressivo. Che poi neppure il voucher sia la soluzione migliore, è un altro discorso - si può ragionare su strumenti diversi ma di fatto equivalenti, come il credito d'imposta o la quota capitaria (forse la quota capitaria potrebbe addirittura essere compatibile con la legge regionale, perché in fondo il trasferimento avviene direttamente dal comune alla scuola - qui una trattazione generale). Ma il dato essenziale è che l'allocazione non deve avvenire tramite convenzione tra beneficiario e comune, ma dovrebbe essere mediata dalle preferenze effettive delle famiglie. E, nella misura in cui il meglio è nemico del bene (drammaticamente vero in politica), il voucher è uno strumento che ben si presta.

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