Che ci avessero preso gusto era nell’aria. Dopo aver archiviato con successo la vicenda Fincantieri, l’obiettivo prossimo dichiarato sono le multinazionali dell’acol, oltre ogni ragionevole dubbio colpevoli di trarre in inganno insensati teenager, consumati e corrotti dai lunghi anni passati a mangiar pop corn tra uno spot e l’altro di aperitivi, birre e ammazzacaffè. Che inizino a tremare dunque. Non gliene ne vogliano i solitari mercanti di liquori sestresi, che del vendere alcol a innocenti ragazzetti hanno fatto una ragion d’essere. Niente bevande alcoliche dalle ore 00.00 alle ore 2.00 del giorno 6 Agosto. Dictum factum. Per buona pace di quei ventenni che volevano ridurre la loro vita come i loro bicchieri a fine serata, vuota. Ma anche in barba a tutti quegli altri che volevano semplicemente divertirsi. Degli uni come degli altri, in tutta franchezza, non mi frega molto. Ciò che invece mi preme sottolineare è come questa ordinanza sia da rigettare su tre livelli: a livello teorico è inensata, a livello pratico non è servita assolutamente a niente e a livello economico è stata un salasso per i gestori dei locali già ampiamente penalizzati da un settore turisitco in continuo trend negativo da anni.
A livello teorico, è impensabile che un comune, ma più in generale una qualsivoglia forma di organizzazione statale e parastatale si prenda la briga di educare le persone. Sia perché tale strada è grottescamente impraticabile sia perché sarebbe un grave attentato alle libertà individuali di ciscuno di noi. Non a caso, i regimi che “educano” le persone necessitano del totalitarismo per rendere le proprie politiche effettivamente applicabili.
A livello pratico basta il buon senso. Come si può pensare di risolvere il problema della movida notturna e della devastazione cittadina impedendo agli esercenti di vendere un mojito? Se uno è alcolizzato, alcolizzato resta e si porta il bottiglione da 5 litri sotto il braccio, come è avvenuto l’altro ieri sera. Per di più, se uno è vandalo lo rimane anche senza bere. E nonostante i giornalisti del Secolo XIX e del Corriere Mercantile si siano affrettati a dichiarare – a mio avviso in maniera scandalosamente di parte – che mai ci fu una hanoa hanoa così sobria, le impressioni di chi c’era per davvero risultano essere ben diverse. La gente era ugualmente ubriaca, le bottiglie ugualmente rotte sulla spiaggia (forse quest’anno anche di più, perché al supermercato non vendono ancora la birra nel bicchiere in plastica), gli indigeni ugualmente scocciati di questa festa, l’etilometro – fornito dal bar Balin come dice il Corriere Mercantile (??) – funzionava esattamente come l’anno scorso, quasi una gara a chi totalizzava il punteggio più alto, le persone sono state ricoverate in egual misura all’ospedale per gli eccessi della serata. A sentire chi alla festa è andato veramente, non c’è stato alcun “successo”. Solo tanti fegati sconfitti.
A livello economico, i veri perdenti sono loro: i bar, i pub, i chioschi. Gli stessi che hanno civilmente accettato di chiudere i battenti alle ore 2.00 notturne di ogni giorno dell’anno. Per due ore d’alcol sono andati in fumo migliaia di euro di incassi mancati. Tali esercenti letteralmente “vivono” per serate come la barcarolata, l’hanoa hanoa et similia, in cui hanno entrate straordinarie che compensano i periodi invernali di vacche magre. Una misura come quella emanata dal comune non ha avuto altro effetto che danneggiare loro senza creare nessun apprezzabile effetto per la cittadinanza se non quello – negativo e ben prevedibile – di un muro a Portobello da ridipingere nel libro paga del comune, ovvero a spese dei cittadini.
A livello teorico, è impensabile che un comune, ma più in generale una qualsivoglia forma di organizzazione statale e parastatale si prenda la briga di educare le persone. Sia perché tale strada è grottescamente impraticabile sia perché sarebbe un grave attentato alle libertà individuali di ciscuno di noi. Non a caso, i regimi che “educano” le persone necessitano del totalitarismo per rendere le proprie politiche effettivamente applicabili.
A livello pratico basta il buon senso. Come si può pensare di risolvere il problema della movida notturna e della devastazione cittadina impedendo agli esercenti di vendere un mojito? Se uno è alcolizzato, alcolizzato resta e si porta il bottiglione da 5 litri sotto il braccio, come è avvenuto l’altro ieri sera. Per di più, se uno è vandalo lo rimane anche senza bere. E nonostante i giornalisti del Secolo XIX e del Corriere Mercantile si siano affrettati a dichiarare – a mio avviso in maniera scandalosamente di parte – che mai ci fu una hanoa hanoa così sobria, le impressioni di chi c’era per davvero risultano essere ben diverse. La gente era ugualmente ubriaca, le bottiglie ugualmente rotte sulla spiaggia (forse quest’anno anche di più, perché al supermercato non vendono ancora la birra nel bicchiere in plastica), gli indigeni ugualmente scocciati di questa festa, l’etilometro – fornito dal bar Balin come dice il Corriere Mercantile (??) – funzionava esattamente come l’anno scorso, quasi una gara a chi totalizzava il punteggio più alto, le persone sono state ricoverate in egual misura all’ospedale per gli eccessi della serata. A sentire chi alla festa è andato veramente, non c’è stato alcun “successo”. Solo tanti fegati sconfitti.
A livello economico, i veri perdenti sono loro: i bar, i pub, i chioschi. Gli stessi che hanno civilmente accettato di chiudere i battenti alle ore 2.00 notturne di ogni giorno dell’anno. Per due ore d’alcol sono andati in fumo migliaia di euro di incassi mancati. Tali esercenti letteralmente “vivono” per serate come la barcarolata, l’hanoa hanoa et similia, in cui hanno entrate straordinarie che compensano i periodi invernali di vacche magre. Una misura come quella emanata dal comune non ha avuto altro effetto che danneggiare loro senza creare nessun apprezzabile effetto per la cittadinanza se non quello – negativo e ben prevedibile – di un muro a Portobello da ridipingere nel libro paga del comune, ovvero a spese dei cittadini.
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