venerdì 15 agosto 2008

I ritardi sono metastasi: si diffondono.

Confessioni di un Pendolare 2

Il treno procedeva con una velocità imbarazzante. Nella mia stessa carrozza, c’è il capotreno che è sta tranquillamente seduto per tutto il viaggio, e che scende puntualmente a ogni fermata per svolgere le sue mansioni. Ritardo di 20 minuti: la norma. Arrivando a Principe, questi si accorge che avrebbe perso la coincidenza con il treno che lo riporta usualmente a casa propria, alla fine del turno di lavoro. Allora, preso da grande spirito civico, acchiappa il suo telefono, che magicamente per lui ha campo anche in galleria (quella lunghissima prima di Principe) e parla con un suo collega che, evidentemente, è capotreno della sua coincidenza. Si presenta dicendo qualcosa come: “Ciao, sono il collega Tizio, sono sul treno xxx delle ore blabla diretto a Livorno Centrale”. E continua: “Mi devi fare questo favore, se non mi aspetti 10 minuti mi fai perdere la coincidenza, cazzo, arrivo a casa tardi! […] Dai, grazie, grazie mille, sei un grande, arrivo subito”. Il treno arriva a Principe e riparte. Tra Principe e Brignole c’è una galleria tra le più tragicomiche del tragitto. Nove volte su dieci il treno lì si pianta, immobile per qualche minuto. Questa che racconto non è un’eccezione. Il capotreno inizia a imprecare, sbuffa, se la prende con il tavolino e con i vetri, passeggia nervosamente, si mette dalla porta di uscita, torna indietro. E’ una scena memorabile. Sta subendo sulla sua pelle il (suo) ritardo che ormai ammonta a quasi 30 minuti. Allora, non domo, riprende il telefono: “Ehi, sono io, dai aspettami, ti prego, sennò mi si incasina tutto qui, ti pago quello che vuoi, ti offro da bere appena ti vedo… [silenzio] Dai, grande, ti ringrazio, appena arriva salto giù”. Il treno arriva con passo greve a Brignole. Nel frattempo, davanti alla porta d’uscita si è formata una breve coda, composta per lo più da anziane dalle forme consistenti che si preparano in anticipo a scendere dal carrozzone. Con un grande gesto d’eleganza, il capotreno spintona un signore e chiede alla restante fila di farlo passare, posizionandosi con il suo zainetto con la faccia incollata al vetro della porta tra lo sgomento dei presenti. Il treno si ferma. La sua cena è salva. E della nostra chi se ne fotte?

Facciamo due conti: lui era già in ritardo di 10 minuti. Altri 10 minuti li abbiamo accumulati dopo la prima chiamata. Sono 20. Per colpa di questo personaggio, più di un centinaio di persone avranno perso 20 minuti della loro vita su un treno per fare in modo che una sola persona, per di più responsabile dei suoi ritardi, arrivasse, chessò, 60 minuti prima. Cento per venti fa duemila minuti, ovvero un giorno e undici ore di ritardo aggregato creati dal nulla senza alcuna spiegazione.

5 commenti:

Carlo Stagnaro ha detto...

In realtà la spiegazione c'è, ed è chiara: il capotreno ha un forte interesse a sollecitare il ritardo dell'altro treno. I passeggeri del secondo treno hanno solo un debole interesse a protestare, perché non sanno le ragioni del ritardo (se chiedono informazioni gli diranno "problema tecnico", e loro lo sanno) e perché comunque sanno che, se anche protestassero, la probabilità di ottenere qualcosa è scarsissima. E' ovvio che la bilancia penda dalla parte del primo capotreno. E' altrettanto ovvio che le cose possano funzionare in questo modo perverso - in cui i passeggeri sono un fastidio per il capotreno, anziché essere questi al loro servizio - perché non c'è alcun meccanismo efficace di selezione e sanzione. Non solo, infatti, nessuno sarà sanzionato, ma tutti sanno che non saranno sanzionati (o che la probabilità della sanzione è estremamente bassa). Da questo vicolo cieco, a parità di altri elementi, è letteralmente impossibile uscire, se non si liberalizza (cioè si consente la concorrenza, anche separando Rfi da Trenitalia) e non si privatizza (cioè si mette l'azienda nella condizione di fallire, che normalmente produce un certo incentivo all'efficienza, dunque a instaurare adeguati meccanismi di sorveglianza e di premio/sanzione).

Anonimo ha detto...

Sono allibito... i treni devono essere puntuali e garantire un servizio, indipendentemente se pubblico o privato. Se fosse privato, io potrei lamentarmi e chiedere un risarcimento o di non pagare il bliglietto, ma essendo pubblico non posso pretendere nulla e subire.
Comunque c'è da dire che ciò che una volta accadeva raramente ora è la consuetudine che viene supinamente accettata dell'utenza.
Più che incentivare l'efficenza, io sanzionerei l'inefficenza.

Come si fa, però a creare concorrenza nel trasporto ferroviario? Credo che forse si dovrebbe studiare modo e maniera per trovare alternative al trasporto ferroviario...

luca fava ha detto...

Privatizzare, Liberalizzare??? Va bene ma come? Questa sarebbe, immagino io, la risposta del miglior politico italiano dopo tre puntate di Matrix dedicate a spiegare i, possibili (il condizionale è d'obbligo), vantaggi derivanti dalla liberalizzazione del settore.
Orbene dico io; non facciamoci trovare impreparati!! Lasciamo stare le varie tesi teoriche e concentriamoci sui fatti. Da dove si parte??
Facile, dall'esperienza degli altri!!! Dall'esperienza decennale degli altri paesi, in specifico della Gran Bretagna. In merito a ciò, propongo un paper dell'Università di Bologna dedicato alla privatizzazione del settore ferroviario nella già citata Gran Bretagna.

http://dipeco.economia.unimib.it/web/corsi/politica_economica_(micro)156/altro/de_nicola_la_privatizzazione_delle_ferrovie_in_gran_bretag….pdf

In conclusione un appello a tutti: smettiamola con le false denunce demagogiche, facciamo qualcosa! Questo potrebbe essere un inizio... magari spediamolo ad Altero Matteoli...

luca fava ha detto...

Non carica bene il link... no problem. Per chi fosse interessato, digitare su google queste esatte parole: La privatizzazione del sistema Ferroviario in Gran Bretagna. E' un PDF...

Anonimo ha detto...

Gentilissimo Luca,

ti ringrazio per il contributo, ma mi permetto di dissentire.

Ahimè, il mio intervento:

- non è falso, dal momento che l'ilare scenetta descritta nel post
l'ho sentita con le mie orecchie. Purtroppo, ora come ora, non ho
alcuna macchina che mi permetta di tornare indietro nel tempo e
portarti con me a quella data, ma stai sicuro che appena troverò il
modo di farlo ti avvertirò.
- non è una denunzia, dal momento che la mia era solo un'innocente
confessione ad un gruppetto di amici che ci segue.
- non è certo demagogica, non ha altro scopo che riferire una testimonianza
di vita (tristemente) vissuta. Quando vorrò fare
demagogia, mi trasferirò in quel campo che massimizza il valore atteso
delle stronzate che una persona può esternare (ovvero sarò in politica
- non mancherò di informarti anche di questa evenienza). Nel frattempo
scrivo su iltigullio.info.
- il paper che segnali può essere interessante, ma se hai tempo per leggere
i lavori
che gli studenti dell'università Bicocca (cosa c'entra Bologna)
preparano come 'take home' all'esame di Politica economica del
triennio, suppongo tu ne abbia anche per cercar paper su JSTOR. Imparerai
molte cose utili e interessanti, tra cui che liberalizzare è essenziale per
rendere (più) efficiente il trasporto ferroviario, e che una liberalizzazione senza la contemporanea privatizzazione del monopolista pubblico rischia di essere inefficace.